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Avv. Sarah Pani
Come anticipato, con sentenza n. 14840 del 27.10.2022 (leggere anche “Nessuna “messa alla prova” per l’ente 231”) le Sezioni Unite della Cassazione si erano pronunciate, in senso negativo, sulla compatibilità della responsabilità ex D.Lgs. 231/01 con l’istituto della messa alla prova – prevista per gli imputati-persone fisiche – introdotta dalla L. 28 aprile 2014, n. 67.
Negli scorsi giorni (il 6.4.2023) la Suprema Corte ha proceduto al deposito delle motivazioni, permettendo così di cogliere le ragioni a supporto di tale inapplicabilità.
L’istituto, dai connotati marcatamente sanzionatori di matrice penalistica, non può, ad avviso della Cassazione, essere applicato agli enti, in estrema sintesi:
- in forza del principio costituzionale di legalità della pena, del quale la riserva di legge (art. 25, co. 2 Cost.) costituisce corollario;
- in ragione dell’impossibilità di applicare i principi di analogia in bonam partem ovvero di interpretazione estensiva, nel caso di specie;
- in ragione dell’impossibilità di innestare un trattamento sanzionatorio penale nel sistema della responsabilità amministrativa (non assimilabile a quello penale), qualificato come tertium genus che mutua, dal sistema penale, solo le garanzie che lo assistono;
- in ragione delle caratteristiche specifiche della messa alla prova, disegnata e modulata sull’imputato persona fisica e sui reati allo stesso astrattamente riferibili.
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Ecco come le Sezioni Unite, con ampia ed articolata motivazione, superano le contrarie argomentazioni di alcune pronunce di merito che avevano esteso l’accesso al beneficio della messa alla prova anche alle società.