Servizi vs. dati personali: un nodo ancora da sciogliere

Nell’audizione davanti al Senato tenutasi lo scorso 10 gennaio, l’Autorità Garante, soffermandosi sullo schema di decreto della direttiva UE 2019/61 in materia di protezione dei consumatori ha sottolineato la necessità di disciplinare la tendenza alla “commodification” (mercificazione) dei dati personali.

Al riguardo, si osserva che sebbene la valorizzazione economica dei dati sia un dato di fatto inconfutabile (nel 2013 il Financial Times aveva creato addirittura un programma per calcolare il valore patrimoniale dei dati), controversa è, invece, l’enorme questione concernente la possibilità per l’interessato/utente/consumatore di “scambiare” i propri dati personali a fronte della fornitura di beni/servizi digitali o del trasferimento di una somma di denaro come “controprestazione”.

Il dibattito dottrinale è più aperto che mai e, se da un lato, per le Authorities in materia di data protection (in specie, l’“EDPS” e l“EDPB”) i dati personali non possono essere considerati come un bene commerciabile, dall’altro, occorre notare, invece, come i recenti interventi normativi a livello europeo (in particolare, l’“European Data Strategy” e la direttiva 2019/770), le decisioni innovative dell’Antitrust e dei giudici amministrativi (senza tralasciare l’importante pronunzia adottata dalla Suprema Corte del 2018) abbiano preso consapevolezza della rilevanza economica assunta dalla circolazione dei dati sul mercato.

Concludendo, i nodi da sciogliere sono diversi, ciò che è innegabile è che l’economia digitale impone di considerare i nuovi modelli di circolazione dei “personal data” senza demonizzare tout court la loro dimensione negoziale (argomento su cui poco più di un ventennio fa scriveva in maniera lungimirante Stefano Rodotà) al fine di ampliare gli strumenti di tutela dell’interessato/consumatore tramite i presidi dettati dal GDPR e dalla disciplina consumeristica nonché una più proficua cooperazione tra Garante e AGCM.

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