AUTORE
Avv. Stefano Petrussi
Recentemente ad alimentare lo stimolante dibattito pro e contro la patrimonializzazione dei dati è intervenuta anche la Procura di Milano che – secondo quanto riportato dagli organi di stampa – ha aperto un fascicolo per un omesso versamento dell’IVA (870 milioni di euro dal 2015 al 2021) da parte di Meta in relazione ai dati forniti dagli utenti nel contesto dell’iscrizione ai propri servizi (Facebook, Instagram, Whataspp) e sui cui avrebbe “guadagnato” tramite la loro profilazione.
Secondo la posizione sostenuta dalla Procura, Meta avrebbe dovuto versare l’IVA su questo scambio che si sarebbe qualificato come una permuta tra beni differenti (i servizi offerti dalla piattaforma e i dati personali dell’utente).
Si tratta di un ulteriore tassello che si inserisce nella questione controversa riguardante la possibilità per l’interessato/utente/consumatore di “scambiare” i propri dati personali a fronte della fornitura di beni/servizi digitali o del trasferimento di una somma di denaro come “controprestazione”.
Se da un lato, per le Authorities in materia di data protection, i dati personali non possono essere considerati come un bene commerciabile, dall’altro, occorre notare, invece, come i recenti interventi normativi a livello europeo (in particolare, l’“European Data Strategy” e la direttiva 2019/770), le decisioni innovative dell’Antitrust, dei giudici amministrativi (e della Suprema Corte, la n. 17278/2018) abbiano preso consapevolezza della rilevanza economica assunta dalla circolazione dei dati sul mercato.
In attesa di conoscere gli esiti dell’indagine della Procura di Milano (e delle conseguenze che potrebbero “rivoluzionare” l’intero economia delle piattaforme e non solo), ciò che è innegabile è che la digital economy impone di considerare i nuovi modelli di circolazione dei “personal data” (senza demonizzare tout court la loro dimensione negoziale) e che, come magistralmente evidenziato il 9 gennaio u.s. dal Presidente dell’Autorità Garante, prof. Pasquale Stanzione, è necessario disciplinare la tendenza alla “commodification” dei dati personali al fine di evitare abusi e discriminazioni mediante la “massimizzazione” delle tutele privacy e consumeristiche.