“Patteggiamento” dell’ente: il riepilogo dei presupposti applicativi

Come noto, il D.lgs. 231/2001 prevede la possibilità, per l’ente cui sia stata contestata la commissione di un illecito amministrativo, di concludere il procedimento penale attraverso la scelta di riti speciali come l’applicazione della pena su richiesta delle parti (il cd. “patteggiamento”), in analogia alla prerogativa concessa alla persona fisica imputata.

Dunque, i benefici propri di tale istituto (di cui all’art. 63 del D.lgs. 231/01) sono diretti al contenimento della sanzione astrattamente prevista per l’illecito e, in pari tempo, alla riduzione delle tempistiche proprie del processo.

I requisiti per l’accesso all’anzidetto beneficio sono stati chiaramente riepilogati, anche recentemente, dalla Corte di Cassazione la quale, con sentenza n. 40563/2022,  ha specificato che l’ente può “patteggiare” in tre ipotesi:

  • a) se anche il processo nei confronti della persona fisica che ha agito per suo conto si concluda in tal modo;
  • b) se tale processo sia normativamente suscettibile di essere definito secondo quel rito, ma non vi sia accordo tra le parti o, per qualsiasi altra ragione, tale definizione non si realizzi;
  • c) se, indipendentemente dalle scelte di rito dell’imputato persona fisica e dall’esito del giudizio nei suoi confronti, anche per quel che concerne la misura della pena da lui concordata, l’illecito amministrativo da reato ascritto all’ente medesimo sia punibile con la sola sanzione pecuniaria e non anche, cioè, con una delle sanzioni interdittive previste dal Decreto 231.

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La sentenza in commento precisa, dunque, che l’opzione dell’imputato per il “patteggiamento” rappresenta solo uno dei presupposti per l’accesso dell’ente al medesimo rito, ma non risulta indispensabile a tale scopo.

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