Pubblicato sul sito IVASS l’intervento di Stefano De Polis, Segretario Generale dell’IVASS, del 25 settembre 2023 avente ad oggetto la giustizia stragiudiziale nei settori bancario, finanziario e assicurativo.
Da diversi anni l’IVASS, alla luce della considerevole domanda di tutela richiesta dagli utenti e dell’abilità dimostrata dagli arbitri del settore nel dare risposte rapide ed efficaci, ha promosso la costituzione di un arbitro assicurativo, soprattutto al fine di risolvere le controversie aventi importo contenuto (cd. small claims).
Nel proprio intervento De Polis si concentra sulle cause del ritardo nell’iter di costituzione dell’Arbitro Assicurativo (in parte derivante dal necessario coordinamento tra diversi Ministeri e in parte dalla complessità dell’iter in sé), pur evidenziando che il rafforzamento della struttura stragiudiziale in materia assicurativa è ritenuto necessario soprattutto alla luce dei suoi caratteri di prossimità e accessibilità agli utenti.
Inoltre, il potenziamento degli strumenti ADR è uno degli obiettivi primari del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e della riforma della giustizia operata dalla legge Cartabia.
Il ricorso all’Arbitro Assicurativo, poi, vuole andare a porsi quale condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria in alternativa, nei limiti di rispettiva competenza, alla mediazione (per i contratti assicurativi e per il risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria) e alla negoziazione assistita (per le controversie sul risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti).
Con l’Arbitro Assicurativo si intende, infine, aggiungere un ulteriore tassello a favore di una tutela sostanziale e di prossimità della clientela, oltre che a raggiungere il più ampio obiettivo dell’IVASS di contribuire alla riduzione dei motivi di contenzioso tra clienti e operatori del settore assicurativo.
L’EIOPA ha avviato, in data 20 settembre 2023, un’indagine sull’accesso alle assicurazioni informatiche da parte delle piccole e medie imprese (PMI), così da ottenere informazioni più dettagliate in merito alle sfide che le stesse devono superare per proteggersi dai rischi informatici e per valutare il livello di accesso alle assicurazioni informatiche.
L’indagine andrà a raccogliere diverse informazioni relative alle dimensioni e al tipo di attività svolte dalle imprese intervistate e andrà anche a valutare il livello di consapevolezza delle stesse sul rischio informatico rispetto alla attività da loro svolte.
L’indagine farà, inoltre, luce sull’esperienza e sulle percezioni delle PMI riguardo alle assicurazioni informatiche ed andrà poi a verificare se le stesse imprese hanno considerato l’acquisto di una polizza, così analizzando i fattori che hanno influenzato la loro decisione di acquistare o meno la copertura.
Il sondaggio è disponibile in tutte le 24 lingue ufficiali dell’UE e le PMI sono invitate a parteciparvi fino al 20 marzo 2024.
Tale indagine pur non riguardando direttamente i business dalla Compagnia, risulta essere di fondamentale importanza per comprendere l’andamento del mercato.
Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del Ministero della Difesa contro la decisione del Tar che, dopo aver parzialmente accolto la richiesta di rimborso di un luogotenente dell’Arma dei Carabinieri (inizialmente negato), lo aveva quantificato in via “complessiva ed equitativa”, nella misura complessiva di 20.000 euro. Per il Ministero della Difesa, il Tar ha errato poiché, una volta annullato il diniego di rimborso delle spese di patrocinio legale, non avrebbe potuto anche stabilirne il quantum, dovendo rimetterne la determinazione all’Amministrazione. I Giudici di Palazzo Spada nel dare ragione all’amministrazione ricorrente hanno affermato che ai fini del rimborso delle spese di patrocinio legale, spettanti ad un dipendente pubblico, titolare, perciò solo, di un interesse legittimo, l’amministrazione ha un “peculiare potere valutativo con riferimento all’an ed al quantum”, dovendo verificare la sussistenza in concreto dei presupposti per il rimborso nonché la congruità delle spese, previo parere obbligatorio e vincolante dell’Avvocatura dello Stato. Tale atto consultivo, proprio in ragione della sua “natura tecnico-discrezionale”, non deve attenersi all’importo preteso dal difensore oppure “a quello liquidato dal consiglio dell’ordine degli avvocati per quanto rileva nei rapporti tra il difensore e l’assistito, ma deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive ed, in quanto tale, è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità per errore di fatto, illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità o per violazione delle norme di settore”. Per queste ragioni il Consiglio di Stato ha accolto l’appello del Ministero contro il capo della sentenza di primo grado, che aveva quantificato, in “via complessiva ed equitativa”, le spese di patrocinio legale spettanti al luogotenente. Per il Collegio TAR, dopo aver annullato il provvedimento di diniego e accertato l’an debeatur, si sarebbe dovuto limitare a rimetterne la quantificazione dell’importo dovuto all’amministrazione perché vi procedesse con l’ausilio dell’avvocatura dello Stato.
In tema di spese legali, la compensazione per “gravi ed eccezionali ragioni”, sancita dall’art. 92, comma 2, c.p.c., come riformulato dalla l. n. 69 del 2009 (“ratione temporis” applicabile), nei casi in cui difetti la reciproca soccombenza, riporta a una nozione elastica, che ricomprende la situazione di obiettiva incertezza sul diritto controverso e che può essere conosciuta dal giudice di legittimità ove il giudice del merito si sia limitato a una enunciazione astratta o, comunque, non puntuale, restando in tal caso violato il precetto di legge e versandosi, se del caso, in presenza di motivazione apparente. Tuttavia, il sindacato della Corte di Cassazione non può giungere sino a misurare “gravità ed eccezionalità”, al di là delle ipotesi in cui all’affermazione del giudice non corrispondano le evidenze di causa o alla giurisprudenza consolidata.
Pur se funzionali al rispetto della garanzia del giudice naturale precostituito per legge (articolo 25 della Costituzione), le questioni sulla competenza hanno da risolversi in limine litis, quindi in modo snello, allo stato degli atti e sulla base di una cognizione sommaria. Pertanto, la cognizione in tema di competenza deve potersi appuntare su aspetti di semplice, quasi automatica determinazione. «Orbene – prosegue la decisione -, è evidente che, al fine di individuare il giudice competente per valore in materia di impugnazione di una delibera assembleare, ove si tratti di una domanda proposta da un condomino che contesta l’an o il quantum della quota di partecipazione alle spese condominiali a lui attribuita dalla delibera, sia più semplice e automatico determinare il valore della causa sulla base dell’intero ammontare della somma oggetto della delibera e non già sulla base della quota di spesa contestata dall’attore (che in concreto possono essere più quote da sommare tra di loro, eccetera), altrimenti si corre il rischio che, per risolvere in limine litis la questione di competenza, si finisca per anticipare l’accertamento di merito relativo al se le quote sono effettiva-mente dovute o meno». In questo senso: al fine di individuare il giudice competente, la parte contestata del rapporto obbligatorio finisce con l’identificarsi con la delibera di spesa nel suo complesso, mentre ai fini del merito la contestazione si appunta sulle singole quote di spesa chiamate in causa dal condomino impugnante. E la semplificazione decisoria, conclude, «si apprezza particolarmente nel caso in questione, dove il Tribunale ha affrontato una questione di merito (l’essere una certa spesa già stata deliberata da una precedente assemblea di condominio) per risolvere una mera questione di competenza.
In tema di violazioni amministrative, per integrare l’elemento soggettivo dell’illecito è sufficiente la semplice colpa, per cui l’eventuale buona fede e l’erronea convinzione della liceità della condotta può rilevare in termini di esclusione della responsabilità amministrativa al pari di quanto avviene per la responsabilità penale in materia di contravvenzioni. Occorre dunque che esso risulti inevitabile, riconducibile ad un elemento positivo estraneo all’autore dell’infrazione ed idoneo ad ingenerare la convinzione della liceità. Inoltre, è richiesto all’autore di dimostrare di aver fatto tutto il possibile e che nessun rimprovero possa essergli mosso, solo così si può ritenere che l’errore sia stato incolpevole, non suscettibile cioè di essere impedito dall’interessato con l’ordinaria diligenza (confermata, nella specie, la sanzione per mancanza di informativa ex art. 13 cod. privacy sul trattamento dei dati personali dei visitatori di un sito internet, raccolti tramite form, atteso l’affidamento da parte del soggetto sanzionato ad società esterna dell’incarico di rifacimento del sito non costituiva elemento positivo sufficiente per escludere la responsabilità della società).
Per quanto in linea generale sia possibile produrre in giudizio copie o duplicati del provvedimento impugnato estratti dal fascicolo telematico, attestando la conformità del relativo contenuto all’originale contenuto nel predetto fascicolo, ai fini della procedibilità del ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 369 c.p.c. deve comunque trattarsi di copie o duplicati recanti l’attestazione di cancelleria della pubblicazione del provvedimento, con la relativa data e il numero attribuito dal sistema». In caso contrario, del resto, sarebbe impossibile per la Cassazione verificare se e quando il provvedimento impugnato sia effettivamente venuto ad esistenza e quale sia il suo numero identificativo. Tornando al caso specifico, l’unica copia della sentenza impugnata prodotta (in forma cartacea) era priva dei dati sopra richiamati. A ben vedere, continua la decisione, mancava anche la specifica attestazione di provenienza del documento prodotto dal fascicolo informatico e la stessa attestazione di conformità all’originale. Il ricorso è stato giudicato improcedibile, sia perché l’unica copia della sentenza prodotta «è priva di qualsivoglia attestazione di cancelleria circa il numero identificativo e la data di pubblicazione, sia perché manca qualsiasi attestazione di conformità all’originale informatico, sia perché manca l’attestazione di conformità all’originale della copia della sentenza notificata alla ricorrente, con la relativa relata di notifica, ai fini della decorrenza del termine breve.