GDPR e marketing: le recenti indicazioni della Cassazione sul “soft-spam”

Una delle modalità applicative che consente di inviare comunicazioni commerciali via e-mail senza acquisire il preventivo consenso dell’interessato è quella rinvenibile nel c.d. “soft-spam” di cui all’art. 130, comma 4 del Codice della privacy. Recentemente la Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. II, sent., 17 marzo 2023, n. 7555) ha focalizzato la propria attenzione sul concetto di “vendita” di un prodotto o di un servizio. Al riguardo, di seguito si riportano gli elementi più significativi della pronunzia degli Ermellini:

  • ambito di applicazione: tale eccezione di carattere speciale vale esclusivamente per il canale e-mail;
  • destinatari: i destinatari delle e-mail devono essere esclusivamente i clienti (non i prospect, né gli ex clienti) persone fisiche (e non persone giuridiche);
  • modalità: l’indirizzo e-mail da utilizzare per l’invio della comunicazione deve essere quello fornito dal cliente nel contesto della vendita di un prodotto o di un servizio;
  • oggetto: la comunicazione promozionale deve avere ad oggetto esclusivamente la promozione di servizi analoghi a quelli acquistati;
  • concetto di “vendita”: secondo gli Ermellini esso include soltanto i clienti “paganti” che abbiano concluso un contratto di vendita mentre, contrariamente non rientrano in tale regime derogatorio i “clienti non paganti”, ovvero coloro che si siano solamente registrati o abbiano effettuato una prova del servizio.

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Alla luce di quanto fin qui osservato, si rileva come il contenuto dell’ordinanza sia di indubbia significatività poiché le conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione ribadiscono come la deroga del c.d. “soft-spam” non si estendi alla mera registrazione sul sito, né ai contratti a titolo gratuito ma solamente nell’ipotesi in cui vi sia stato un rapporto contrattuale di vendita del bene o del servizio.