AUTORE
Avv. Sarah Pani
Sulla scorta di un recente orientamento di segno conforme (di cui si è trattato in un precedente contributo ‘Per la disciplina 231 l’ente si estingue ma non “muore”‘), il GIP di Milano ha pronunciato sentenza di applicazione della sanzione amministrativa su richiesta ex art. 63 D.Lgs. 231/01 (n. 2993 del 15.11.2022) nei confronti di una società estintasi – con conseguente cancellazione dal Registro delle Imprese – ad oltre due anni dalla contestazione elevata dal P.M. (ossia, la trasmissione al giudice di istanza congiunta di “patteggiamento”).
In tale contesto, secondo il Giudice per le Indagini Preliminari vi sarebbero “ragioni di sistema” che “impongono di escludere che si possa identificare la mera cancellazione dal Registro delle Imprese quale causa ostativa alla pronuncia di sentenza pregiudizievole nei confronti della società”.
Tali ragioni, in buona sostanza, consisterebbero nella necessità di scongiurare un ricorso strumentale all’estinzione della società (purché successiva all’addebito definitivamente elevato nei confronti dell’ente) per evitare conseguenze sanzionatorie.
Tale impianto motivazionale sembra tuttavia presupporre che l’estinzione debba essere “preordinata” a “paralizzare la risposta dell’ordinamento all’illecito dell’ente” per evitare il giudizio e la eventuale condanna.
Così interpretato, il principio enunciato in sentenza diverrebbe inapplicabile alle ipotesi in cui la società si estingua per ragioni estranee alla volontà dei suoi soci (ad esempio, il raggiungimento dello scopo sociale, l’impossibilità di conseguirlo ovvero ancora l’intervenuto fallimento).
Ecco che, così contestualizzata la pronuncia in commento, il contrasto con l’orientamento secondo cui l’estinzione fisiologica – e, dunque, non fraudolenta – dell’ente darebbe luogo ad un evento assimilabile a quello della morte dell’imputato (cfr. Cass. pen., nn. 41082/2019, 25492/2021), risulterebbe certamente attenuato.
.